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Giovanni Capurso e “La passione e le idee”

Dall’omicidio di Giuseppe Di Vagno a quello di Giacomo Matteotti



Il saggio “La passione e le idee” (Progedit edizioni) di Giovanni Capurso ripercorre gli anni che hanno caratterizzato l’avvento del fascismo, dall’omicidio di Giuseppe Di Vagno a quello di Giacomo Matteotti. Attraverso una narrazione coinvolgente, l’autore ci descrive l’importanza dell’esperienza pugliese, evidenziandone la centralità e la rilevanza politica, ricostruendo con una visione dinamica il significato che il fascismo ebbe nelle singole sfaccettature della società.

 

 

Capurso, il suo saggio dimostra che, nonostante vi sia oggi un’ampia produzione di articoli e saggi sul periodo fascista e sul fascismo, questa rimane un’epoca ancora irrisolta, nella quale emergono facilmente eventi e tematiche inedite. Come si comporta lo storico dinanzi a questa vasta complessità di fonti che connota la materia?

 

“Scopo dello storico non solo è quello di cercare fonti ma mettervi ordine e interpretarle. Per fare ciò egli deve cercare di spogliarsi da ogni pregiudizio, da ogni narrazione politica o culturale, anche legittima, per arrivare quanto più vicino alla verità dei fatti. Cosa ovviamente non facile, visto che stiamo parlando di temi che ancora oggi toccano la sensibilità di tanti. Infatti quanto più gli eventi oggetto d’indagine sono vicini al nostro tempo tanto più è difficile trattarli con obiettività; a maggior ragione se parliamo di temi squisitamente politici e che quindi possono essere facilmente strumentalizzati o tirati per la giacca per sostenere questa e quella posizione. Emblematico è quello dell’antifascismo, tema principale di questo libro, che ancora oggi risente di trasposizioni sulla contemporaneità.  

Al di là di questo aspetto, che definirei epistemologico, in questa ricerca ho cercato una lettura e un metodo, penso, alternativo a quello semplicemente cronachistico. Ho provato a mettere a confronto le idee e i punti di vista dei principali protagonisti di un’epoca particolarmente inquieta e turbolenta. Da qui il titolo del volume La passione e le idee”.

 

Colpisce l’estratto del volume “Cronista del processo Matteotti” di Del Giudice, contenuto nel primo capitolo, in cui questi scrive di essere giunto alla fine della sua ingrata fatica “uscendo dal lurido pantano di putridume che ho descritto e narrato con la maggiore obiettività possibile”: è possibile mantenere un effettivo distacco nella narrazione e nella valutazione di tali eventi storici, spesso così atroci e soprattutto così tragicamente ancora vicini a noi?

 

“La frase da lei riportata ci spiega bene la fatica di uscire da un’epoca inquieta e tormentata della storia italiana. Si trattava naturalmente di fare i conti con l’eredità lasciataci dalla ventennale dittatura. Si cercò di mettervi una pietra sopra.

Il decreto Togliatti del 22 giugno 1946 penso sia emblematico da questo punto di vista. Il problema è che buona parte dei magistrati del periodo fascista furono poi gli stessi che si trovarono a processare i delitti di quell’epoca. Il risultato è che la vicenda storica di tanti martiri o uomini liberi, primi fra tutti Di Vagno e Matteotti, non trovarono un’adeguata giustizia neanche nei tribunali del dopoguerra”.

 

Il periodo oggetto dell’analisi del saggio rappresenta forse il momento più delicato del fascismo. È qui che la svolta dittatoriale del regime divenne inevitabile?

 

“Sì, è così. Il delitto Matteotti segna uno spartiacque, un punto di non ritorno. Dopo che si venne a sapere dell’assassinio del leader socialista in tutta Italia divamparono le proteste. Ci furono anche le dimissioni di ministri. Il fascismo vacillò, ma seppe reggere l’urto. Ben presto Mussolini, dopo un intervento in parlamento, trasformò il suo autoritarismo in una vera e propria dittatura. A quel punto la battaglia politica degli antifascisti sembrava persa; eppure le idee di cui erano portatori continuarono a rimanere vive, a germogliare, ad attraversare il tempo e infine si rifecero durante la Resistenza. Ci verrebbe da dire con lo stesso Matteotti uccidete me, non le idee che sono in me”.

 

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