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Nunzia Gionfriddo scrive di Anna Maria Ackermann

“Scrivere di donne. Anna Maria Ackermann memorie inedite”. Homo Scrivens edizioni




Scrivere di donne. Anna Maria Ackermann memorie inedite

Di Simone Sormani


Con il suo aspetto elegante e la sua dizione raffinata, Anna Maria Ackermann è stata – e lo è ancora, a quasi novant’anni! – una Signora del teatro e del cinema nazionale. Nunzia Gionfriddo ne ha raccontato la storia nel libro Scrivere di donne. Anna Maria Ackermann memorie inedite (Homo Scrivens, pp. 160, € 15,00), in cui l’attrice rivela all’autrice memorie e confidenze non solo sulla propria vita artistica, costellata di successi, ma anche su vicende e sentimenti privati e fino ad ora poco conosciuti. Un romanzo intervista che abbraccia anche i temi dell’emancipazione femminile in un contesto in origine contadino, in cui le donne trovano il loro riscatto attraverso l’intraprendenza e la cultura.

Nunzia Gionfriddo, ci racconti innanzitutto di lei e come è nato il suo interesse verso la figura di Annamaria Ackermann.

“Sono una donna che ha dedicato tutta la vita all’insegnamento di materie umanistiche nei quartieri difficili di Napoli. Tra i miei interessi principali ci sono stati sempre il teatro, che per me ha rappresentato soprattutto uno strumento pedagogico per i giovani, e la scrittura. Ho scritto sia saggi che opere di narrativa – come Chiocciole Vagabonde, Raccontami la mia Storia, Gli angeli del rione Sanità e Cioccolata calda per due – dove, attraverso il genere del romanzo, cerco di raccontare la storia, in particolare quella del Novecento.

Ho conosciuto Annamaria Ackermann qualche anno fa, in occasione di un corso di recitazione e dizione che teneva al Teatro Totò di Napoli. Fui invitata a partecipare ad uno di questi incontri, durante il quale si soffermò molto a parlare della sua famiglia, e in particolare delle due donne più importanti della sua vita: sua nonna e sua madre. Mi colpì molto la tenerezza che usò nel raccontare dei loro sacrifici e delle loro sofferenze e dell’amore con cui l’hanno cresciuta, ma soprattutto la possibilità di cogliere in questi ricordi uno spaccato di storia italiana, comune a tante persone. Successivamente mi invitò per un soggiorno estivo nella sua villa di Chiusi, città di origine della sua famiglia materna dove da qualche anno risiede stabilmente, ed è lì che è nata l’idea di realizzare un libro che contenesse i suoi racconti e le sue riflessioni”.

Ce ne vuole parlare?

“Confesso che all’inizio la cosa che mi intrigava di più era il fatto di poter analizzare le condizioni di vita di questo mondo rurale che tornava spesso nei racconti della Ackermann, e che è uno dei miei campi di interesse preferiti. Mustiòla Marchi, sua nonna, proveniva infatti dalla campagna toscana, la sua era una famiglia di contadini rossa e antifascista che fu poi impegnata nella Resistenza. In giovanissima età fu mandata a Napoli a fare da inserviente presso l’Istituto di San Marcellino, un educandato per ragazze di famiglie ricche e nobili. A quei tempi – siamo alla fine dell’Ottocento – si usava, presso l’alta società napoletana, prendere a servizio fanciulle povere provenienti dalla Toscana per il loro italiano corretto e privo di inflessioni. Mustiòla strinse un forte legame in particolare con due educande, figlie di un importante avvocato, che la volle assumere presso di sé quando le ragazze terminarono gli studi in collegio. In casa dell’avvocato Mustiòla venne sedotta dal suo rampollo, Rodrigo, e dalla loro relazione clandestina venne alla luce Laura. Cresciuta da sua madre, Laura si diplomò brillantemente all’Istituto Margherita di Savoia e divenne maestra. Sposò Renato Ackermann, di origine tedesca, e dal loro matrimonio nacque Annamaria che, come sappiamo, si è dedicata con successo al teatro e al cinema”.

Tre donne diverse, dunque, accomunate però da un desiderio di riscatto e di libertà unito alla forza dell’amore. È così?

“Sì, proprio questo è uno degli aspetti che volevo mettere in evidenza nel libro. Mustiòla amò Rodrigo per tutta la vita e non volle cercare compromessi o soluzioni di comodo, dovendo per un certo periodo di tempo patire anche l’ostilità da parte della propria famiglia di origine. Rodrigo non la abbandonò al suo destino, le fu vicino sia da un punto di vista materiale che affettivo, soprattutto nei primi anni di vita di Laura, ma sempre di nascosto in quanto già ammogliato; in ogni caso le differenze sociali tra i due non avrebbero permesso un’eventuale unione. Laura ha sofferto molto la mancanza di un padre legittimo, e ha riversato tutta la sua voglia di riscatto nello studio, ma tutto sommato tra le tre è stata la più felice in amore. Sui suoi amori Annamaria, invece, preferisce mantenere una certa riservatezza. Posso dire che non ha mai intrecciato relazioni con colleghi di lavoro, pur essendo molto corteggiata per la sua indubbia bellezza. Nel libro si accenna a tre storie importanti, di cui le prime due sono state un po’ “dolenti”, e al suo coraggio nell’affrontare l’esperienza della maternità, trovandosi spesso sola ma forte della sua indipendenza”.

Un’altra esperienza, raccontata nel libro, che ha segnato in modo forte l’esistenza e la sensibilità di queste tre donne è stata quella dell’internamento in un lager nazista durante la Seconda guerra mondiale.

“Annamaria – che all’epoca aveva all’incirca dieci anni – non ha saputo dirmi quali fossero le ragioni per le quali lei e la sua famiglia furono internate. Quando, a distanza di anni, provò a chiedere spiegazioni a sua madre, questa le rispose che il passato doveva andare dimenticato e che era meglio non se ne parlasse più. Nella sua memoria è rimasto vivo il ricordo di un lungo e disperato viaggio in treno tra campagne innevate, della vita nel lager, della fuga e di una marcia forzata tra le macerie della guerra per ritornare a Napoli. E’ una vicenda estremamente dolorosa, che abbiamo ricostruito a fatica, perché attorno ad essa si era creato, nel tempo, un comprensibile riserbo. Ma l’orrore e il buio in cui siamo ripiombati in questo momento storico rendono ancora più forte l’esigenza di raccontarla”.

Nella seconda parte, invece, il libro si sofferma sulla carriera artistica della Ackermann, che parte dai palcoscenici amatoriali per approdare alla scuola dei maestri del teatro napoletano, i fratelli De Filippo, Nino Taranto, Roberto De Simone e alla grande prosa televisiva e radiofonica. A tal proposito, quali sono stati gli incontri più importanti del suo percorso?

“Nel corso della sua carriera ha lavorato con tanti artisti importanti. Mi riferisco, oltre ai nomi citati, a registi e attori del calibro di Liliana Cavani, Luigi Magni, Alberto Lupo, Gino Cervi, Ubaldo Lai, Zoe Incrocci, Gianni Agus, Silvio Spaccesi, Mariano Rigillo, Stefano Satta Flores. Nelle sue lezioni ha ricordato più volte Peppino De Filippo come esempio di comico ironico, intelligente e non volgare e di capocomico e compagno di lavoro severo ma allo stesso tempo affettuoso.

In particolare però, nei suoi discorsi, ritornano sempre due incontri fondamentali. Il primo è stato quello con Eduardo, che considera il suo Maestro. Le ha insegnato tutto, ma una cosa in particolare, che ricorda spesso ai suoi allievi: un attore deve saper leggere il copione fin da subito, anche la prima volta che lo tiene fra le mani, e deve farlo con la voce e con il cuore. L’altro è stato quello con Roberto De Simone, che nell’Opera buffa del giovedì santo le fece fare il ruolo di una donna laida, spregevole, blasfema. In quell’occasione De Simone riuscì a liberarla del cliché della signora perbene e borghese e a farle tirare fuori dal suo animo qualcosa che nemmeno lei sapeva di avere. Una grande prova di attrice e di regia”.

Ma che attrice è stata veramente Annamaria Ackermann?

“Innanzitutto, direi che è stata partecipe della rinascita culturale di Napoli degli anni Cinquanta. In quel periodo, con la ricostruzione del San Ferdinando, Eduardo De Filippo lanciava una sfida alla “restaurazione” promossa dall’amministrazione di Achille Lauro anche in campo teatrale, mentre nuovi fermenti letterari nascevano intorno a scrittori emergenti come La Capria, Prisco, Rea, Compagnone. Napoli, in quel momento, si apriva ai giovani e a nuove proposte. Annamaria prese parte a questo rinnovamento, mantenendo le sue caratteristiche di attrice elegante, raffinata, “classica” ma allo stesso tempo eclettica e capace di interpretare la modernità, anche attraverso una pluralità di mezzi, dalla radio alla televisione e al cinema”.

Negli ultimi anni la Ackermann si è dedicata molto ad incontrare proprio i giovani. Che tipo di rapporto si è creato con loro?

“Pur essendo, secondo una sua definizione, un’“antica signora” negli atteggiamenti e nei modi, è riuscita a creare un feeling particolare con i giovani, trasmettendo loro non solo la propria esperienza di artista, ma anche e soprattutto l’amore che l’attore deve avere per il teatro. Un amore non sempre ricambiato perché, come dice lei, ‘il teatro ti può anche lasciare solo. Ti accompagna e poi ti abbandona, ti fa i dispetti, è un amante cattivo’. Un altro insegnamento che i ragazzi hanno potuto cogliere, nel corso di questi incontri, riguarda il comportamento che un professionista dello spettacolo deve tenere verso i colleghi. Cito ancora le sue parole: “Il teatro è maestro di vita, ti insegna il rispetto degli altri. Bisogna camminare in punta di piedi dietro le quinte, senza far rumore perché c’è un compagno che sta recitando e non deve essere disturbato ma rispettato. Tutto sulla scena, dietro le quinte, sul proscenio, insegna a portare rispetto ai compagni di lavoro, al regista, ai tecnici di scena. I toni sono sempre sommessi: sembra che al di fuori di questa bocca enorme non ci sia altro. Domina la parola, tragica o comica, tutto è sogno”.

Infine, nel raccogliere e mettere su carta questa storia lei, come autrice, cosa ha ritrovato del suo essere donna?

“Io e Annamaria siamo donne diverse, sia da un punto di vista anagrafico che per il percorso di vita compiuto. Ciò che ho ritrovato di me in lei e nella sua storia è la donna che cresce e si evolve attraverso lo studio e l’impegno. Per me il teatro è stato soprattutto uno strumento di militanza, grazie al quale ho portato avanti delle battaglie in favore dei giovani disagiati di Napoli. Lei, invece, ha portato la sua cultura e la sua sensibilità per i temi sociali direttamente sul palcoscenico. Abbiamo percorso strade diverse, ma indirizzate ad una stessa meta: veicolare un messaggio di cambiamento per la società”.


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