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"La Conversione", il docufilm scritto e diretto da Giovanni Meola

incontra il pubblico delle sale cinematografiche.



"La Conversione", il docufilm scritto e diretto da Giovanni Meola

di Pino Cotarelli


Il pluripremiato Giovanni Meola, drammaturgo, sceneggiatore, regista teatrale e cinematografico, che spesso nelle sue drammaturgie, privilegia spaccati di vita reale che riguardano anche fatti di cronaca, con il docufilm La conversione, che ha scritto, diretto e presentato di recente nelle sale cinematografiche campane, confrontandosi anche con il pubblico presente, conferma la sua spiccata sensibilità, nell’individuare fatti che meritano di essere portati all’attenzione generale, per una più approfondita riflessione. In particolare dal testo “Io so e ho le prove (Chiarelettere editore), scritto da Vincenzo Imperatore, ex manager bancario e prima gola profonda del mondo finanziario e da Il campo del male” (Tullio Pironti Editore), testo autobiografico scritto da Peppe De Vincentis, ex galeotto che ha voluto documentare i tristi ricordi della sua adolescenza, il suo battesimo criminale, la detenzione nelle diverse carceri e in ex-OPG e la sua passata dipendenza dalla cocaina, il regista ha colto l’autentico desiderio di riconversione dei due protagonisti, constatando peraltro, la totale mancanza da parte loro, di ostentazione o di pretestuose imputazioni di responsabilità a terzi. L’idea di un docufilm, che attraverso le stesse voci dei protagonisti, raccontasse le vite sbagliate dei protagonisti e i processi che hanno portato all’autentica riconversione, attraverso l’ausilio di tecniche biopic di film inchiesta e di approccio teatrale improvvisato, attribuisce al racconto una leggerezza necessaria per agevolare una comprensione che potrebbe risultare un po' ostica. La realizzazione di questo docufilm, che è stata possibile dopo la vittoria al RIFF (Rome Independent Film Festival) 2020 e con il sostegno del bando regionale campano (in collaborazione con Film Commission Regione Campania), propone una cena nella umile casa di Peppe De Vincentis, dove i due si confrontano, si confessano, cercano possibili fattori comuni, come la banca, sede di lavoro per Vincenzo e luogo da svaligiare per Peppe; ripercorrono le tappe fondamentali di una quotidianità sbagliata e il suo evolversi. Un flash-back in cui emergono scenari, luoghi frequentati, carceri, sedi universitarie, banche, il Don Bosco col suo oratorio, il campo cosiddetto del male, dove Peppe, trascorre i pochi anni in compagnia dell’amata madre, sfrattato dai Quartieri Spagnoli, ma anche il Carcere minorile Filangieri, dove si susseguono episodi di bullismo. Poi Vincenzo, ex capo-area di strutture bancarie, racconta le istruzioni bancarie che si ricevevano, ai confini della legalità, dove dovevano essere sottaciute, pena il demansionamento, clausole che potevano danneggiare il cliente, perché potevano compromettere una vendita. Concessioni finanziarie, anche senza garanzie certe, se si accettavano prodotti ad alto rischio, elargiti, tra l’altro, con modalità ai limiti del malavitoso. Una competizione del personale interno, che travalicava limiti e regole di trasparenza, a fonte di una carriera accelerata per comportamento consensuale. Un racconto nei dettagli, snocciolato nella sua cruda realtà, che fa scorgere due uomini che ripudiano il passato, in cerca di una definitiva riabilitazione. Peppe De Vincentis ha trovato il riscatto nel teatro, fa l’attore e ha anche scoperto una sua precedente propensione all’arte. Vincenzo Imperatore, nel suo studio di consulenza finanziaria, difende gli interessi dei suoi clienti, forte di quanto assimilato dalla sua esperienza bancaria. Non da poco la bella colonna sonora, risultata molto originale, con musica eseguita con sola fisarmonica e voce, da Daniela Esposito; una delicata sottolineatura alla crudezza dei fatti e un giusto tappeto per il nuovo percorso di conversione dei due protagonisti.


Abbiamo intervistato il regista Giovanni Meola al Cinema Filangieri di Napoli:


Come nasce l’idea di questo film?

Nasce dalla conoscenza che, casualmente, a poca distanza di mesi, faccio di queste due persone qualche anno fa, le loro storie mi colpiscono in maniera eccezionale e approfondendo la conoscenza di entrambi, capisco che, anche se molto, molto diversi tra loro, in fondo c’era qualcosa che li univa e non solo la semplicistica connessione delle banche, uno che ha lavorato per 23 anni in una grossa banca, l’altro che è stato un rapinatore seriale di banche, ma anche e soprattutto il fatto che la scrittura ha permesso ad entrambi, di certificare questa inversione a u, questa conversione laica che a un certo punto delle loro rispettive vite, è diventata la protagonista di questo nuovo pezzo della loro esistenza.


La vittoria al RIFF, Rome Independent Film Festival 2020 e il sostegno del bando regionale campano (in collaborazione con Film Commission Regione Campania) e La Conversione approda alle sale cinematografiche, si può quindi sperare nell’attenzione delle amministrazioni pubbliche?

Ma diciamo che il progetto è stato premiato evidentemente perché aveva qualcosa di oggettivo da dire e grazie appunto a questo bando vinto, siamo approdati nelle sale e approderemo sulle piattaforme digitali; mi auguro che si riesca anche a trovare una distribuzione internazionale, per poter permettere al film di andare in sala anche all’estero. Detto ciò, però il film ha già fatto un percorso festivaliero vincendo diversi premi e non solo il Rome Independent Film Festival, abbiamo vinto fortunatamente anche un altro bel po' di premi in giro per concorsi. Alla fine, poi c’è sempre una vita che si prolunga se un progetto ha veramente qualcosa da dire, come mi auguro sia questo, con le scuole, con le carceri, attraverso altri canali, oltre ovviamente ripeto, alle piattaforme digitali, dove il film approderà tra un paio di mesi.


In questo docufilm di tipo biopic, convivono connotati da film giornalistico di inchiesta e quelli tipici teatrali, una formula sempre più apprezzata dal pubblico?

Si perché da un po' di anni il documentario ha ripreso slancio nel nostro paese in Europa nel mondo e le forme del documentario sono le più disparate, non esiste un'unica forma di film documentario e questo lascia a noi registi, una grande libertà d’azione, significa poter ibridare i linguaggi; giusto per dirne una, la colonna sonora di questo film, che viene firmata da Daniele Esposito, è una colonna sonora molto particolare, solo vocalizzi e fisarmonica, per quanti documentari io abbia visto nella mia vita, non ho mai ascoltato una colonna sonora del genere e credo che la scelta fatta, premi tantissimo il racconto audiovisivo che facciamo delle vite di questi due personaggi.


Quale peculiarità dei due personaggi, l’ex bancario d’assalto, Vincenzo Imperatore, e Peppe De Vincentis, ex rapinatore ed ex galeotto, hai potuto mettere a fattor comune nel loro percorso di riconversione e riabilitazione?

Proprio questo aspetto della scrittura secondo me è quello che unifica e certifica il loro attuale status, il fatto cioè che attraverso la scrittura, di fatto, di due autobiografie, entrambi decidono di fare i conti con il loro passato, svelando i segreti dei mondi di provenienza e autodenunciandosi non nascondendosi dietro un dito. Quello che mi ha colpito in “Io so e ho le prove”, il libro che ha fatto conoscere Enzo Imperatore e l’ha fatto diventare la prima gola profonda del sistema bancario, così come “Il campo del male” di Peppe De Vincentis, è che nessuno dei sue si nasconde dietro un dito, nessuno dei due dice: gli altri mi hanno ordinato, gli altri sono stati la causa del mio male, gli altri sono stati lo strumento che mi ha spinto a fare questa cosa, oppure quest’altra, entrambi si prendono le loro responsabilità dicono: “no, no le colpe sono nostre, abbiamo creato le premesse per sottrarre, in qualche caso rubare in maniera evidente”.


Due modi di delinquere che possono apparire anche diversi nella gravità?

Possono apparire, certo, perché poi, uno ha pagato i suoi conti con la legge facendosi trent’anni di galera, l’altro ovviamente no, perché si è mosso in quel campo in quel terreno grigio tra il lecito e l’illecito, che in alcune istituzioni come quella bancaria è diventata, purtroppo e soprattutto negli anni passati, una sorta di regola aurea: “non dire bugie, ma non dire tutto”, questo era uno dei motti che venivano inculcati nei giovani manager affinché potessero vendere di tutto.


Un ricorso alla scrittura per raccontare, esorcizzare e rafforzare la riconversione, il riconoscimento degli errori fatti?

Si, si, la scrittura è sicuramente uno strumento potentissimo, ma poi non c’è solo quello, io da quando ho conosciuto queste due persone, ho messo su una costellazione di progetti e mi prendo nel mio piccolo, anche una parte del merito di questi cambiamenti, anche perché vedi rappresentata la propria storia in teatro. È successo già con “Io so e ho le prove” da cui, dopo aver preso i diritti in esclusiva, ho tratto uno spettacolo teatrale, che ha visto anche il mio ritorno in scena come attore, oltre che firmarlo come regista e drammaturgo; è uno spettacolo che va avanti da sei anni, oppure lo spettacolo che stiamo preparando con Peppe “Me chiammavano Peppe ò Biondo”, perché lo chiamavano così quando era tristemente noto per le sue centinaia e centinaia di rapine, che non sarà altro che Peppe De Vincentis che racconta Peppe De Vincentis. Credo che anche queste due espressioni porteranno ad un percorso di ritorno, a riconnettersi con la parte più profonda di se stessi.


Si può vivere un futuro diverso quando un pesante passato incombe?

Senz’altro si, soprattutto se si riesce a compiere questa trasformazione come l’hanno compiuta Peppe ed Enzo.


Una nuova complicità può risultare utile alla riconversione?

No, non si conoscevano, li ho fatti conoscere giusto un attimo prima di cominciare le riprese, difatti il film racconta proprio la loro conoscenza in tempo reale, durante una cena nella umilissima, per non dire distrutta, casa di Peppe.


È continuo il tuo impegno per la produzione di spettacoli e progetti a sfondo culturale e sociale; infatti, è prossima l’uscita del tuo documentario ‘Art. 27, comma 3’, fatto con i detenuti del reparto ‘Napoli’ del carcere di Poggioreale-NA, ci dai qualche anticipazione?

È stato un progetto molto, molto forte, ho tenuto un laboratorio di scrittura creativa e recitazione con questi detenuti per nove mesi, con una rappresentazione finale davanti ad un pubblico non numerosissimo, perché le regole del carcere sono quelle ed è capitato proprio poche settimane prima della pandemia. Avevamo ottenuto l’autorizzazione del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria a fare tutte le riprese e io mi sono ritrovato con novanta ore di girato e ne è uscito fuori un videodiario, un documentario di novanta minuti, che racconta, quasi tappa per tappa, quello che accaduto in quei nove mesi. Nove mesi costellati di una miriade di micro-avvenimenti ma anche di macro-avvenimenti, come il suicidio, purtroppo, di uno dei partecipanti al laboratorio, che ha fatto deviare il progetto. Tutto questo viene raccontato e quello che mi premeva e mi premerà, quando il film uscirà, è che la gente possa veramente connettersi in qualche modo, con quella che è la vita di un carcere sovraffollato, complicato e complesso come Poggioreale. È chiaro che quelle persone stanno scontando delle colpe di reati ed è giusto che sia così, però non è giusto che nelle carceri italiane, come forse in molte altre parti del mondo, le condizioni di vita siano così malsane e così infime. Ci tengo a dire che sia questo film, che “La conversione”, io li ho coprodotti, nel caso de “La conversione”, con Andrea Valentino, che è un mio collaboratore di vecchia data ed è il mio socio di produzione, mentre Art.27, con Maurizio Del Bufalo, che è il Presidente dell’associazione Cinema dei diritti. Ci tengo a dirlo perché con entrambi portiamo avanti altri progetti. Con Maurizio faremo proprio una campagna affinché nelle carceri italiane si facciano quanti più progetti a sfondo culturale possibile, perché quella roba lì serve veramente tanto.


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