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Al Teatro TIN di Vico Fico Purgatorio ad Arco rivive Shakespeare, con “LadyeM”. Dal 26 al 28 maggio


Napoli – Scena a budello, quella del TIN di vicoletto Purgatorio ad Arco, quasi riflesso amniotico, in cui s’ergono gli archetipi di una Lady serpentesca di fiele, Milady Macbeth, e del suo sposo assassino, quel Macbeth, demone shakespeariano, che infiniti addusse lutti in quel di Scozia; e son bravi i due (Rosalba Di Girolamo e Mauro Racanati), lemuri apolidi e sconnessi, a rievocare il bardo ed i suoi spettri. Il loro Macbeth rivisto in chiave femminea, una “LadyeM” di pulvis et umbra, dal refolo stregonesco graffiata, diventa ricetto e riparo per ignominiosa aspirazione ed assassinio infingardo, all’ombra del Potere.


Lady Macbeth, custode del sacro distorto, baccante oltremondana, oltre il tempo, eppure umanissima nel suo volersi ergere su massa, nonostante il sangue versato, nonostante tutti; e suo speculum un Macbeth malmostoso e represso, truce ed infantile, di pugnale armato e figlio della pugna, eppur neghittoso al sangue versato, colpevole di tradimento e spergiuro, uomo infingardo schiavo d’un desiderio mai aggiogato.


La Di Girolamo-Milady seduce melliflua, tesse la tela, sulla scena essenziale, pugnala all’abbisogna: fosse pure l’innocenza in fasce, la progenie bastarda, viva o morta, frutto del suo grembo; affonda il colpo, spuria e sincopata, a singhiozzo, a strozza, penetra le carni, stracciando l’ordito del suo personale destino, di ciò che desiderio mutò in tregenda: la scena è impregnata di menzogna e malaffare, di preci interrotte ed angosce perenni.

Macbeth-Racanati, evoca tenebrosa la mano sul capo, a rivelare investitura, a consacrare maledizione: d’esser Re senza vanto e merito, affongando il suo deliquio nel sangue del giusto King Duncan, rilucendo del peccato primigenio d’essergli fedele mentre il colpo veniva affondato nel petto; perché la voluttà è sorella ben maggiore della vergogna.


Memento di un trono (marcio) voluto, cercato, assecondando il truce fato a vaticinio, di spiriti sabbatici che annunciano lo scettro senza onore, il regicidio notturno, per personale lordura a tornaconto: Lady Macbeth come idolo incantatore, fiamma bestiale e corpi da consumare; emblema germinale d’una vita menzognera, femmina e testimone dell’umano-troppo-inumano, condannata al vero, annessa alla pena d’esser Zeitgeist indigesto per nemici e famigli, la sua aura si tinse di rosso, pagando dazio al destino: è il suo dono, e l’altrui maledizione.


E allora “Salute Macbeth!”, che è altro il tuo Regno, se ne scorge il riflesso, oltre il tempo, a rigelare gli umani: un Re traditore altro non può, che esser tradito; la lama che affondò nel giusto, ora trafigge l’empio, per mano di donna-vampiro, che suggellò il patto col sangue da suggere e versare, a vomitare l’urgenza dell’interpello, di esser udita, ascoltata, temuta, se non creduta. Un racconto allucinato, un deliquio umano di perduranti attese disilluse. LadyeM è vertigine di desideri repressi, afferra il senso iper-reale che pencola dal proscenio, una gruccia cui tendere la mano ingioiellata della Regina senza cuore: perché se lo scettro va a Macbeth, seppur per tempo ilusorio, il Potere dalla complice è blandito, asservito, assorbito.


Nell’onfalos a scena, intagliato nell’urgenza, il volto di Macbeth è solo uno specchio, un riflesso truce della donna-focolare, fiamma come eco, per creatura della notte che grida, sanguina, sfuria e ricorda: i suoi desideri, le antiche speranze, i suoi Penati, e la pena della conoscenza, dell’esser carne (seppur corrotta), quando il mondo evapora nell’inganno dei falsi miti, delle divinità in frantumi, in attesa di un Godot che mai arriverà.

Drammaturgia essenziale, un trono divelto e due veli, a separare la tragedia del Potere dalla commedia grottesca di manichini dispersi chiamati a interpretarla. Un plauso ai due interpreti, con la Di Girolamo che si staglia fieramente in scena, distanziando il compagno per luminescenza sinistra.

Sipario, dissolvenza, applausi: che gli spettri del Bardo tornino nell’ombra.


LadyeM”


Di Rosalba Di Girolamo e Vincenzo Pirozzi

Regia: Vincenzo Pirozzi

Scene: Peppe Zarbo

Costumi: Rosa Ferrara

Fotografia: Nunzia Esposito

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